domenica 11 novembre 2012

Distorsioni del veganismo


In questa nota mi piacerebbe analizzare un problema che salta fuori con eccessiva frequenza nei dibattiti e nelle conversazioni sulla considerazione morale verso gli altri animali: la distorsione del veganismo. Anche se per poter parlare di distorsione dovremmo poterci riferire ad un qualcosa di oggettivo. Esiste quindi un significato oggettivo di veganismo o si tratta di un termine che chiunque può interpretare a suo piacimento? La mia posizione è decisamente orientata verso la prima opzione. Ed è una posizione sostenuta logicamente da fatti e ragioni, non da gusti personali, come cercherò di spiegare a continuazione.

Nell'anno 1951, Leslie Cross, l'allora vicepresidente della Vegan Society, redasse un documento nel quale si esponeva la definizione consensualmente accettata di veganismo: “L'obbiettivo del nostro movimento deve essere il termine dello sfruttamento degli animali da parte dell'uomo. La parola “veganismo” significherà la dottrina secondo la quale l'uomo deve vivere senza sfruttare gli altri animali.”

Senza dubbio questa definizione mi sembra la più azzeccata, data la sua affinità morale con altri movimenti simili, come il femminismo o il movimento per l'abolizione della schiavitù umana. Se in effetti veganismo significa non utilizzare animali non umani (e per tanto non consumare nessun prodotto né partecipare in nessuna attività che implichi un loro utilizzo) questa accezione del termine ha senso solo se partiamo da un fondamento morale: riconoscere gli altri animali senzienti come persone, vale a dire, non trattarli come oggetti, come risorse, come semplici mezzi per il conseguimento dei nostri fini. Tutto ciò si verifica ogniqualvolta utilizziamo un qualcuno senza il suo consenso esplicito ed informato, o al punto da lederne i suoi interessi basici. 

Vediamo alcune delle distorsioni più frequenti del veganismo come termine e come significato:

#1) La prima e più frequente distorsione del significato di veganismo è quella del veganismo visto come dieta o stile di vita. Questa distorsione è tremendamente abituale, si considera erroneamente che il veganismo sia un tipo specifico di alimentazione, alla stregua del vegetarianismo (non consumare cadaveri di animali). Il vegetarianismo ha contribuito molto a questa falsificazione, infatti già da decadi si è potuto vedere come si qualifichi il veganismo come un tipo di vegetarianismo. Cosa che fece anche la stessa Vegan Society che ha perduto già da parecchio tempo il suo referente morale, (come già a suo tempo denunciò Gary Francione), per convertirsi semplicemente in un'impresa che promuove il veganismo come se si trattasse di un prodotto di marketing.

Il veganismo non è una dieta né uno stile di vita. Il veganismo è un principio morale (non utilizzare animali non umani) che, una volta assunto implica effettivamente l'assunzione di un tipo di alimentazione e il condurre una vita in generale che non implichino la partecipazione nello sfruttamento degli animali non umani. Allo stesso modo anche il femminismo è un principio morale (che riconosce le donne come persone, come individui autonomi con volontà e interessi propri) che, una volta assunto, comporterà delle implicazioni nella nostra vita. Risulta ovvio che rispettare le donne, implicherà non usarle come cibo. Questo dovrebbe risultare altrettanto evidente se parliamo di rispetto basico verso gli animali non umani.

#2) La seconda distorsione più frequente del veganismo è quella che dice che il veganismo è un semplice strumento per per poter ridurre, evitare o eliminare la sofferenza degli animali (più specificatamente degli animali umani). Questa distorsione vorrebbe intendere con veganismo il semplice fatto di non utilizzare gli altri animali, o non partecipare al loro sfruttamento, però privandolo di tutto il suo fondamento morale. Questo accade perché la base ideologica dalla quale parte chi distorce il veganismo in questo modo, non è il rispetto per le persone ed i loro diritti, ma piuttosto il semplice odio o rifiuto per la sofferenza in se stesso. In generale, si tratta di persone vicine all'utilitarismo o a posizioni simili, come quelle che è solito difendere Peter Singer.

Così come segnala Ramon Alcoberro:
“Un utilitarista è benestarista, vale a dire, l'atteggiamento etico verso gli animali non è un fine in se stesso, ma uno strumento (per migliorare la salute umana, per poter vivere più felice astenendosi dall'ingerire carne cadaverica). L'utilitarista è, come si è detto, un edonista e il vegetarismo, che sia puro o misto (vale a dire che contempli il consumo di latte, uova, pesce o miele), gli offre uno strumento che aumenta la sua felicità personale o collettiva.” 
(Nonostante Alcoberro si sbagli quando definisce il veganismo come un “vegetarianismo puro”. Errore che ci rimanda al punto #1)

Il problema di questo punto di vista distorto si palesa rapidamente. Vedremo infatti persone che si definiscono vegane difendere determinate forme di sfruttamento animale o promuovere misure di “benessere animale” con la scusa che queste porteranno ad un miglioramento delle condizioni o ad una riduzione della sofferenza degli animali che vengono schiavizzati. Vale a dire, per loro il veganismo non è un principio morale, ma uno strumento che utilizzeranno delle volte e delle altre volte no, secondo la convenienza per il raggiungimento di un loro obiettivo, che non è il rispetto delle persone non umane e dei loro diritti, ma unicamente l'eliminazione della sofferenza.

Nonostante infliggere deliberatamente dolore e sofferenza a degli individui per ottenerne dei benefici non è moralmente accettabile, l'obbiettivo del veganismo non è di porre termine al dolore e alla sofferenza nel mondo, ma rispettare gli altri animali in quanto persone. Il nostro errore fondamentale non sta nel fatto di causare dolore, ma nel fatto di utilizzare ad altri animali come nostri schiavi, come mezzi per a nostro uso e consumo, come se fossero una nostra proprietà.

#3) Esiste poi una distorsione recente del veganismo conosciuta come “crudi veganismo”. In questo caso, persone che sostengono un'alimentazione crudista (assumere alimenti crudi o cotti solo fino ad una certa temperatura) completamente vegetale, qualificano la loro scelta alimentare come “crudiveganismo” cadendo nell'errore di confondere il vegansimo con un tipo di dieta o uno stile di vita. 

Immaginiamo qualcuno parlare di “crudi-femminismo” o di “crudi-liberalismo” o “crudisocialismo”. Sarebbe completamente ridicolo. Allo stesso modo è ridicolo e assurdo parlare di “crudi-veganismo”.

Per questo, condivido pienamente l'opinione della nutrizionista Ginny Messina rispetto questo problema:
“(...) Mi piacerebbe che si separassero le diete crude dal vegansimo. Il veganismo è una decisione basata su un'etica di giustizia per gli animali. Il crudismo è una dieta basata su credenze (non confermate) relative alla salute. Quando le persone dicono che il crudismo è “il passo successivo” al veganismo, stanno parlando di qualcosa che è ben lontano dall'aiutare le persone a scegliere di vivere una vita che tenga in considerazione i diritti degli animali. Inoltre promuove una forma di alimentarsi che non è appropriata per i bambini o le persone anziane. Il veganismo deve essere promosso in una forma che sia adatta a tutti.”
#4) Allo stesso modo è frequente una distorsione del veganismo che lo vorrebbe presentare come un ideale di perfezione morale, che consisterebbe nel non causare nessun tipo di danno in nessun modo a nessun animale. Però questo non è il veganismo. Il veganismo si riferisce specificatamente al fatto di non usare animali non umani per fini umani. Il veganismo non è un ideale di perfezione morale irraggiungibile. Il veganismo è un'etica di minimi. Vale a dire, è una base morale senza la quale non possiamo parlare di considerazione e rispetto verso gli animali non umani. Potremo iniziare a rispettare gli animali sono quando smetteremo di utilizzarli come nostri schiavi, come semplici mezzi per il soddisfacimento dei nostri desideri.

In conclusione, l'importanza di parlare in maniera appropriata non è una questione di secondaria importanza quando si tratta una questione di “purezza”. Qualsiasi persona che abbia partecipato in conversazioni e dibattiti si sarà resa conto del fatto che molte discussioni e divergenze sono dovute al fatto che usiamo gli stessi termini con significati differenti. Se usiamo le parole in maniera arbitraria risulterà impossibile comunicare e metterci d'accordo. Per tanto, non è un problema meramente linguistico ma di tipo morale. Se non possiamo ragionare, dialogare e metterci d'accordo fra noi allora non potremo stabilire nessun tipo di relazioni virtuose per tutte le parti in gioco. Potremmo avere successo in questo solo se partiamo da una base obbiettiva e comune.

Esprimerci correttamente non implica nessun sacrificio né sforzo addizionale. È alla portata di noi tutti. È solo una questione di volerlo. È la nostra volontà quella che decide. La stessa volontà di cambiamento che chiediamo ad altri perché prendano coscienza dell'errore dello specismo e quindi smettano di partecipare nello sfruttamento animale. Non chiediamo ad altri che facciano quello che noi stessi non siamo disposti a fare.

Tratto da Filosofía Vegana —pagina in lingua spagnola— tradotto da Antonio De Agostini